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Tra il 1530 ed il 1630 il madrigale ha rappresentato il più elevato ed artificioso livello d’intonazione di poesia profana, dapprima in Italia, poi anche in altri paesi europei. Tutte le risorse di una tecnica compositiva prima tendente soprattutto all’abilità combinatoria, vennero progressivamente indirizzate allo scopo di restituire e moltiplicare le qualità semantiche ed espressive dei testi poetici d’arte prescelti. Lo sforzo di mimesi, analogia e trasfigurazione compiuto avendo alla base il linguaggio letterario, determinò la nascita di un suo equivalente di natura musicale: al di là della validità probatoria esibita dalle singole opinioni a confronto, che questo fosse l’aspetto principale connesso con tale genere di musica vocale, lo dimostrano le polemiche tardo-cinquecentesche sulla reale capacità significante della polifonia, che proprio del madrigale fecero uno dei bersagli favoriti. Preceduti da un’introduzione che mira a ricostruire la poetica madrigalistica attraverso le fonti teoriche coeve, i saggi che vengono qui presentati offrono un ventaglio esemplificativo di alcuni dei problemi storico-critici suscitati da un genere in cui si fondono più apporti e s’intersecano varie motivazioni culturali e sociali: la questione delle origini, il fondamento letterario nei suoi aspetti formali e in rapporto al rivestimento musicale, il confronto con la tradizione compositiva nei suoi dati più tecnici, l’uso sociale e la sua circolazione, il rapporto con gli altri e diversi livelli culturali ivi compresa la categoria del «popolare», le novità grammaticali e linguistiche rese possibili dall’adozione del basso continuo.
Paolo Fabbri insegna Storia della musica nell’Università di Udine. Collaboratore della Fondazione Rossini, dal 1977 al 1985 ha fatto parte del comitato direttivo della «Rivista italiana di musicologia». Membro della commissione scientifica per l’Edizione Nazionale delle opere di Andrea Gabrieli, ha pubblicato tra l’altro il volume Monteverdi (Torino, EDT, 1985).
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