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The Wall: i Pink Floyd ai sintetizzatori analogici
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Durante l’ennesimo ascolto di The Wall, dando un’occhiata ai crediti, mi è caduto l’occhio su quel generico Synthesizer associato a Richard Wright nel brano The Happiest Days of Our Lives.
Così, più per gioco che per altro, mi sono lasciato trasportare dalla curiosità ed ho cercato di capire a quale tipologia di sintetizzatore facesse riferimento quel riferimento generico.
La curiosità iniziale è rimasta senza soluzione, tuttavia mi sono divertito a rimettere insieme tutti gli interventi elettronici presenti nell’album, ripercorrendo tutte le tracce alla ricerca dei diversi synth adottati e riscoprendo alcune informazioni di cui non avevo più memoria, per esempio che anche Roger Waters avesse dato sfogo in The Wall alla sua anima elettronica.
E ne ho approfittato anche per rimettere mano al testo di Peter Manning, Electronic And Computer Music, dove tanto spazio è dedicato ai protagonisti della musica rock che si sono cimentati nell’uso di sintetizzatori elettronici e non solo.
Tuttavia, le informazioni più rilevanti si trovano in svariati articoli di giornale – anche piuttosto datati – e nei crediti riportati nell’LP originale di The Wall, imprescindibile in qualunque discoteca personale che si rispetti.
Roger Waters incontra Peter Zinovieff
L’apertura dell’album – In The Flesh? – è subito all’insegna della sorpresa: Rogers Waters smanettone sull’EMS VCS3 di Peter Zinovieff! Insieme a un generico (un altro!) Synthesizer suonato da Wright.
Il vero protagonista di The Wall: Il Prophet-5
Continuando con la scaletta dell’album, dopo il Synth sviluppato da Zinovieff, si fa strada quello che è lo strumento elettronico più utilizzato nell’intero album, e spesso affidato alle mani sapienti di Richard Wright: il Prophet-5. Lo si ascolta la prima volta in The Thin Ice ma adoperato da David Gilmour prima di lasciarlo al compagno Wright che nella prima parte di Another Brick in The Wall si divide tra questo e un buon vecchio tradizionale Moog.
Il Prophet-5 è una vera icona tra i sintetizzatori analogici. Costruito negli Stati Uniti dalla Sequential, e immesso sul mercato intorno al 1977, questo sintetizzatore analogico è diventato ben presto uno degli strumenti più amati da band rock e compositori di colonne sonore, imponendosi velocemente come un vero e proprio punto di riferimento.
Il motivo del suo successo si lega non solo alla qualità del suono ma anche al suo essere stato il primo sintetizzatore polifonico.
Come accennato nel titolo, il Prophet-5 è il vero protagonista delle sonorità elettroniche di The Wall. Oltre i brani già citati, lo ritroviamo anche in Goodbye Blue Sky sotto le mani sia di Waters, sia di Gilmour e Wright, che lo riprende in mano anche in One of My Turns, Vera, Is There Anybody Out There? e Run Like Hell, prima di cederlo nuovamente a David Gilmour per Waiting For The Worms.
Non solo synth: Clavinet e Hammond e tanto altro
Decisamente più corposo il suono in The Happiest Days of Our Lives, dove al fianco di un generico Synthetizzatore compare l’uso del Clavinet e di un tradizionale Hammond, in entrambi i casi suonati da Richard Wright, che poi torna sul Prophet-5 con la seconda parte di Another Brick In The Wall.
La strumentazione elettronica non di tipo synth continua anche in altri brani dell’album, ad esempio in Hey You, dove Wright si cimenta nuovamente con l’Hammond e con il pianoforte elettrico Fender Rhodes.
L’Arp Synthetizer di David Gilmour e Richard Wright
In Empty Spaces la parte elettronica è affidata a Waters e Gilmour, una coppia difficile che in questo caso trova un proprio equilibrio dividendosi un EMS VCS3, suonato da Roger, e un sintetizzatore ARP, affidato alle mani di David. In quest’ultimo caso si dovrebbe trattare con buona probabilità di un ARP String Ensemble.
E se così non fosse potrebbe anche trattarsi di un’ARP Quadra, che David Gilmour sfodera nel brano In The Flesh, insieme all’EMS VCS3 suonato da Roger Waters che lo rende protagonista anche in Don’t Leave Me Now e Nobody Home, in entrambi i casi con la presenza del Prophet-5 di Wright. Meno chiaro, invece, la strumentazione di The Show Must Go On, dove viene dichiarato un sintetizzatore generico, che con buona probabilità sarà uno di quelli già citati.
Pink Floyd smanettoni elettronici
Insomma, un vero gruppo di smanettoni elettronici questi Pink Floyd. E di certo non serviva un excursus banale come questo per averne conferma. In ogni caso, un modo per stimolare la curiosità mai sopita verso una delle band fondamentali della storia musicale del secolo scorso ma anche per quello attuale, visto che in diversi modi portano ancora avanti la loro attività musicale.
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