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Rewind & Replay: Thelonious Monk
Nel Dicembre 1969 Thelonius Monk termina il suo tour europeo con un concerto a Parigi. Quel pomeriggio registra una puntata per il programma televisivo Jazz Portrait. Il documentario nasce dal ritrovamento delle riprese.
Registratil 17 12 1969. L’intervistatore è il pianista Jazz Henri Renaud. Filmati d’archivio di recente scoperta mostrano incomprensione tra gli interlocutori.
Alain Gomis: una storia di verità negata su Thelonious Monk
Nel 2022, a quarant’anni dalla morte di uno dei più geniali compositori che il Novecento abbia conosciuto, il regista nigeriano Alain Gomis presenta al grande pubblico questo documentario straordinario, letteralmente nato dagli scarti di un altro progetto editoriale realizzato all’epoca per la televisione francese.
La storia del documentario è eccezionale, così come quella del grande jazzista afroamericano. Un’opera che vale la pena guardare per fare luce sulla grande arte di un protagonista della musica contemporanea. Ma soprattutto per restituire la verità al legittimo possessore.
Jazz Potrait: ciò che restò fuori
Durante il suo lavoro di ricerca presso gli archivi dell’INA (l’istituto nazionale francese degli audiovisivi, un po’ come la nostra RAI), il regista Alain Gomis scopre del materiale di archivio che riguarda il compositore Thelonious Monk.
Nulla di strano all’apparenza. In effetti era cosa nota che nel 1969, al termine della sua tournée europea, programmata per chiudersi a Parigi, Monk decise di prestarsi alla realizzazione di una video intervista per il programma televisivo Jazz Potrait, curato da Henri Renaud, pianista Jazz con una discreta attività di compositore alle spalle.
Tale materiale di archivio comprendeva oltre due ore di girato che non fu mai utilizzato per il montaggio definitivo della trasmissione ma che pure metteva in evidenza delle dinamiche a tratti inquietanti tra l’intervistatore e l’intervistato – Thelonious Monk – e soprattutto mostrava ciò che all’epoca si preferì non mostrare al grande pubblico francese perché considerato poco carino: un’artista che esprimeva se stesso, utilizzando espressioni non in linea con il sentire comune, oppure esprimendo concetti che furono ritenuti non adatti per un pubblico che desiderava soltanto ascoltare della buona musica piuttosto che lasciarsi trascinare in polemiche di tipo razziali.
Un montaggio di cose non dette
Ecco, il documentario di Alain Gomes viene costruito proprio attraverso il montaggio di questi spezzoni, attraverso il recupero di scarti d’archivio ricollocati in sequenze per esprimere – finalmente – ciò che in quel 1969 si ritenne non adatto a essere mostrato in una trasmissione nazionale.
Ciò che interessava il pubblico dell’epoca, almeno secondo le intenzioni e le idee dell’intervistatore, era solo la musica. Sacrosanto, se solo questa musica non fosse il prodotto creativo di un’artista come Thelonious Monk, per il quale la musica nasce anche e soprattutto da quelle condizione di sopraffazione e disuguaglianza a cui lui stesso tentò di dare fiato durante l’intervista. Prima che si decidesse di tagliare tutto ciò che non era considerato “nice”.
Gomes crea un’opera completamente nuova, pur utilizzando un girato che gli è preesistente. Un documentario che ci testimonia quell’essere schivo e taciturno di Monk che i libri di Jazz ci avevano già raccontato, e che qui possiamo vedere con i nostri occhi. Un silenzio, tuttavia, che non è mai scusa per non esprimere i propri pensieri più intimi.
Tornare a far parlare Thelonious Monk
Il regista Alain Gomis, in sostanza, restituisce a Monk, e al grande pubblico, ciò che in quel pomeriggio del 17 Dicembre 1969 gli era stato negato: poter esprimere se stesso, dicendo anche cose scomode ma assolutamente vere.
Rewind & Play, quindi. Riavvolgi e riproduci. Il documentario di Alain Gomis rimette a posto la storia, mostrandoci come nel 1969 – ancora – nel cuore della nostra Europa che si credeva lontana dalle problematiche razziste dell’America di Nixon, un bianco potesse maltrattare un nero, per giunta un grande artista, una figura pubblica mondiale di grande rilievo, mettendo a tacere la sua voce critica verso il trattamento che anni prima Parigi – ma in generale l’occidente – gli aveva riservato.
C’è questo nel documentario di Alains Gomis, ma c’è anche l’imbarazzante difficoltà comunicativa tra i due interlocutori, con l’intervistatore che cerca invano di ottenere da Monk ciò che l’artista non è intenzionato a dare: la resa di chi accondiscende alle banalizzazioni della tv pubblica (perchè hai messo il pianoforte in cucina? Cosa mi dici di tua moglie? sono alcune delle domande rivolte all’artista), di chi vorrebbe passare la mano su secoli di sopraffazione razzista per compiacere il grande pubblico occidentale.
Monk non è un’artista come altri. È una figura complessa come complessa, sofisticate e geniale è stata la sua musica. Non è una persona banale e cercare di banalizzarne l’esistenza è un’operazione a perdere. Alain Gomis restituisce diritto alla lotta, restituisce verità alla voce dell’artista.
Il grande jazz di Thelonious Monk
C’è poi la musica nel documentario Rewind & Play. Ed è una musica grandiosa, che rapisce e che hai la sensazione di ascoltare lì, a pochi metri dal grande Thelonious Monk. Da qualche parte ho letto che un giornalista, oppure un critico, non ricordo, durante la proiezione in sala, al termine dell’esecuzione di uno dei brani presenti nel documentario, ha sentito qualcuno in sala, dietro di lui, battere energicamente le mani
Sì, perché l’esecuzione musicale di Monk è veramente notevole. Nella musica Thelonious Monk non si risparmia mai: di fronte al proprio pubblico, per se stesso o durante le riprese di una trasmissione televisiva, l’intensità della propria arte è sempre ai massimi livelli.
Il documentario di Alain Gomis, allora, è anche un modo per osservare da vicino la capacità di Monk di esprimere se stesso attraverso i tasti di un pianoforte. Vederlo eseguire quella stessa musica di cui decenni prima il pubblico e la critica non avevano compresso la grandezza è un’esperienza rassicurante.
Perchè vedere Rewind & Play su Thelonious Monk?
Perché il documentario ci offre l’opportunità di osservare da vicino il genio musicale di Thelonious Monk, un artista che nella musica esprimeva tutto se stesso: ecco perchè tutti lo conoscevano come una persona taciturna, perchè non gli restavano più parole da dire, oltre le note dei propri lavori.
Il documentario attualmente è disponibile su Mubi a questo indirizzo. Ma vorrei lasciare anche il collegamento alla pagina wiki di Thelonious Monk, e alla pagina wiki di Alain Gomis, il regista.
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