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La Diva Aux Pieds Nus: documentario su Cesària Evora

Ho conosciuto Cesária Évora nel 1998. Intendo come artista, conosciuto con l’ascolto. Non che io abbia mai avuto la fortuna di incontrarla dal vivo, fatta esclusione per il concerto che tenne nel 2007 a San Benedetto del Tronto, in provincia di Ascoli Picen.

Era la seconda edizione del festival “Mare Aperto”, e non mi feci sfuggire l’opportunità di poter assistere all’esibizione di un’artista che ormai amavo da diversi anni.

Fu in quell’occasione, comunque, che ebbi modo di poter verificare che sì, Cesária Évora era veramente la diva dai piedi nudi. Ma al di là dei piedi, più tema da gossip, era veramente una diva, una grande artista, capace di emozionare come pochi.

Gli anni della World Music

Dicevo che ho conosciuto Cesária Évora nel 1998, all’indomani della pubblicazione di Cabo Verde, forse il primo album di successo mondiale, e prima di Café Atlantico, del 1999.

Incontrare un’artista come Cesária Évora in quegli anni non era difficile, nel senso che la World Music, anche grazie all’etichetta Real World fondata da Peter Gabriel, stava avendo tanto successo e l’incontro con le musiche di altre culture, spesso sconosciute in Europa e tutto l’Occidente – così come i nomi degli artisti altrove molto noti – era diventato decisamente più semplice. Per mia grande gioia.

Geoffrey Oryema, Abdelli, Musicians of the Nile, Ashkhabad: erano alcuni dei nomi diventati piuttosto familiari in quegli anni. A questi si aggiunse, benché non fosse contrattualizzata dall’etichetta di Peter Gabriel, anche Cesária Évora

Un documentario sull’artista e la sua vita

Ho fatto questa premessa per dare un po’ di contesto storico a questa immensa artista nata nel 1941 sull’isola di Capo Verde, quando era ancora colonia portoghese, e morta nel 2011, il 17 Dicembre.

A lei è dedicato questo documentario realizzato da Ana Sofia Fonseca, portato in distribuzione nel 2022 e che oggi torna a farsi vedere con la pubblicazione sulla piattaforma Mubi, tanto amata dai cinefili incalliti.

Il documentario lo si trova titolato semplicemente Cesária Évora ma molti preferiscono anche la versione lunga: la diva dai piedi scalzi.

Povertà e privazioni

Grazie al documentario della Fonseca, questa peculiarità dei piedi scalzi, che sul finire degli anni Novanta mi sembrava una notizia di gossip piuttosto che altro, assume un significato completamente diverso, che non avrei mai potuto immaginare se non avessi avuto l’occasione di entrare dettagliatamente nella vita privata della cantate capo verdiana.

Perchè proprio questo ha realizzato la Fonseca: un viaggio visivo nell’esistenza semplice di una grande artista, che non ha mai saputo di esserlo fino a quando dovette arrendersi all’evidenza dei teatri pieni, della gente acclamante e dei soldi, tanti, che iniziarono a fluire tra le sue mani.

Cesária Évora: l’alcool, la mente e la musica

Non ho riportato la parte economica casualmente, e nemmeno per spostare il ragionamento verso un argomento così emotivamente vuoto come il successo economico di un’artista.

Ho accostato il nome di Cesária Évora a quello dei suoi corposi guadagni perchè questo è un tema centrale nella sua vita, su cui il documentario della Fonseca insiste più volte, non casualmente.

È evidente, alla fine della visione, come la musica di Cesária Évora nasce dalla povertà e dalla sofferenza, mentale prima che fisica. La musica diventa ben presto la sua unica via di fuga da una vita misera fatta di rinunce e sopraffazioni, confinata in una Capo Verde sottomessa al potere straniero del Portogallo.

La musica, per Cesária Évora, è un fatto normale e naturale. Qualcosa di cui lei si appropria come un bambino appena nato si appropria dell’aria, respirando.

E la musica diventa ben presto anche uno strumento di sussistenza: prima attraverso i piccoli guadagni, poi con le corpose royalties derivanti dalle sue canzoni.

Una musica, per una casa

Eppure, nonostante il successo, il denaro non è altro che uno strumento per garantirsi un tetto dignitoso sotto cui vivere, e uno dono da elargire ai più bisognosi.

Nonostante la povertà, le sofferenze psichiche, le privazioni e un’esistenza difficile, Cesária Évora non ha cura per le cose materiali ma si preoccupa solo delle persone, di mangiare e di poter abitare una casa, vera, con le persone che ama. Ed è questo che la musica farà per lei.

Cesária Évora e la musica

Quello che mi ha stupito del ritratto di questa grande artista, che emerge dal documentario di Ana Maria Fonseca, è proprio il suo rapporto con la musica.

Un rapporto che appare scontato, perfino ovvio ma non sembra mai esserci quel grande trasporto che mi sarei aspettato e che avevo immaginato.

Come accennato, l’impressione è che la musica per Cesária Évora fosse qualcosa di scontato, come bere l’acqua oppure camminare, respirare. Un’attività emotiva, che non aveva altri significati se non quelli di espellere il proprio malessere. Non è una musica di denuncia ma semmai una musica che aiuta a comprendere la bellezza semplice dell’esistenza.

Ovviamente è solo un documentario, che traccia un quadro non esaustivo ma comunque che suscita un certo interesse perchè pone delle riflessioni importanti.

Prima di concludere vorrei lasciare i soliti link di approfondimento. Alla pagina wikipedia di Cesária Évora, innanzitutto, poi alla pagina del documentario su Mubi, e infine la pagina di Ana Sofia Fonseca su IMDB.

Perchè guardare il documentario Cesária Évora?

Perché oggi più che mai sarebbe auspicabile tornare a una dimensione quotidiana della musica, tornare all’essenza dell’arte, alla sua capacità di emozionarci attraverso il racconto, fatto di immagini, suoni, forme o colori, non importa. Cesária Évora ci abbraccia con le sue melodie e ci ricorda che il senso delle cose è di una natura semplice.


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