HPSCHD

HPSCHD è una grande e complessa opera multimediale, realizzata da due particolari protagonisti della musica americana: John Cage, tra i più controversi compositori del XX secolo, e Lejaren Hiller, un pioniere della computer music.

Descrivere con poche parole cosa sia HPSCHD non è cosa possibile data la sua complessità; e non poteva essere altrimenti visto il background culturale e professionale degli autori di quest’opera che poc’anzi ho categorizzato con l’etichetta “multimediale”, di certo appropriata per un lavoro che unisce, in un unico spazio performativo, strumenti tradizionali, sintesi digitale, materiali video e proiezioni fotografiche.

Difficile non è solo trovare una definizione lapidaria, ma anche organizzare le tante informazioni che riguardano le diverse caratteristiche di HPSCHD, riordinando le letture dei documenti che ho utilizzato per la redazione di quest’articolo.

Perchè? – Prima di addentrarmi su questioni specifiche relative all’opera, vorrei chiarire il percorso che portò alla composizione di questo lavoro, il quale appare tutt’altro che chiaro. Così come vorrei chiarire per quale motivo si arrivò a concepire un’opera che legava insieme due strumenti così diversi tra loro: il computer, indubbio esempio delle più avanzate spinte tecnologiche, e il clavicembalo, che più di molti altri strumenti porta con sé il ricordo di un passato lontano.

Nel percorso di creazione di HPSCHD, di certo fu molto importante il contesto di festeggiamenti che si venne a creare per il centenario dell’Università dell’Illinois di Urbana-Champaign, a partire dal 1967 fino a tutto l’anno successivo. Infatti l’Università era stata fondata nel 1867 ma le attività didattiche furono avviate soltanto a partire dal 2 marzo del 1868. In che modo Cage sia entrato in questi festeggiamenti è una questione non sempre chiara: in una biografia di recente uscita, Kenneth Silverman scrive che grazie ad un invito come professore ospite Cage ebbe modo di conoscere Hiller e di frequentare un seminario di due settimane sulla computer music [Silverman], altrove ho letto che fu l’Università, nella persona di Hiller, a contattare Cage per proporgli la composizione di due opere basate sull’uso del computer e di procedure casuali [Husarik], invece Hiller in un’intervista ricorda che fu Cage a contattarlo telefonicamente, esprimendoli il desiderio di comporre qualcosa con il computer e chiedendogli se vi fosse la possibilità di una collaborazione all’interno dell’Università; per questo Hiller lo propose come membro del Center for Advanced Study dell’Illinois per l’anno 1967/68 [Hiller].

Al di là di queste differenti testimonianze, di sicuro c’è che l’Università dell’Illinois era un ottimo luogo dove cimentarsi nella composizione di musica informatica, visto che Hiller, da buon pioniere, vi aveva realizzato negli anni Cinquanta la Illiac Suite. Inoltre sembra che John Cage, a prescindere se fu una sua proposta o una richiesta dell’Università, si presentò con un progetto di due lavori inediti: Atlantis Borealis With the Ten Thunderclaps HPSCHD.

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John Cage e Lejaren Hiller a lavoro per HPSCHD.

Perchè HPSCHD? – Hiller mise a disposizione di Cage non solo le apparecchiature disponibili in quegli anni, ma anche il proprio staff, che avrebbe seguito la realizzazione informatica dei due lavori, dato che in quegli anni pochi compositori avevano acquisito una qualche competenza in ambito digitale. Dei due lavori, soltanto HPSCHD fu portato a termine; di Atlas Borealis in quel momento restò soltanto il titolo, forse anche a causa della notevole complessità dell’altra opera.

HPSCHD deve il suo titolo ad una precedente commissione che John Cage aveva ricevuto e che non aveva ancora soddisfatto. La clavicembalista svizzera Antoinette Vischer è stata fautrice di un progetto di commissioni di opere inedite dedicate al clavicembalo, e nel corso di alcuni anni ha coinvolto compositori come Luciano Berio, Earle Brown, Hans Werner Henze, Duke Ellington e, per l’appunto, John Cage. Anche la clavicembalista statunitense Sylvia Marlowe avanzò una proposta simile a quella della Vischer [Kostelanetz, 2005].

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Un’immagine di Antoinette Vischer, ripresa al clavicembalo la sera della première, il 16 Maggio del 1969.

In entrambi i casi Cage sembrò prendere tempo, e il motivo era alquanto semplice: non amava particolarmente la resa timbrica dello strumento [Austin]

I must admit I’ve never particularly  liked the instrument. It sounded to me like a sewing machine. John Cage

La situazione creatasi con Hiller ad Urbana, gli parve adatta ad unire le due cose. Il nome stesso deriva proprio dalla commissione della Vischer, infatti HPSCHD è la contrazione della parola harpsichord, l’inglese di clavicembalo, da pronunciare hip’-see-kid o più semplicemente harpsichord, come preferiva Cage [Kostelanetz, 1989].

Il computer – Posto il computer, in un modo o nell’altro, come prerequisito di questo lavoro, Cage non si limitò a considerarne l’uso in maniera fredda e automatica, piuttosto volle impostare il lavoro in modo da renderlo imprescindibile per gli scopi compositivi posti. Per questo motivo l’ideazione del progetto fu tale che la macchina consentisse di creare qualcosa che non era possibile fare altrimenti.

“…and so I thought of this as a useful project in relation to the computer, because it made possible something that was otherwise wery difficult”. John Cage

Perchè Hiller? – Fino a questo momento ho più volte fatto riferimento esclusivamente alla persona e alle intenzioni di Cage, tralasciando l’apporto di Hiller. Non è casuale: inizialmente l’opera avrebbe dovuto avere solo la paternità di Cage, e l’Università dell’Illinos avrebbe fornito il supporto tecnico del programmatore Gary Grossman. Gli impegni di quest’ultimo ne ostacolarono la disponibilità e per questo si rese necessario il coinvolgimento di Hiller, il quale si presentava con una professionalità da tecnico ma anche creativo, essendo anch’egli un compositore. La collaborazione divenne così stretta che fu Cage a proporre entrambi i nomi per i crediti dell’opera.

Mozart – Questo coinvolgimento ritardato nel progetto, spiega perché alcune idee di partenza furono elaborate prevalentemente da John Cage. Il punto di inizio, quella che il compositore definisce “l’idea originale”, deriva da una sua personale concezione della musica di Mozart che egli vede come un’unità che si sviluppa a partire dalla combinazione di molteplici elementi musicali, anche molto diversi tra loro. Un procedimento che Cage intende spingere fino al limite, grazie alle possibilità offerte dal computer. L’obbiettivo era moltiplicare i dettagli delle altezze e delle durate dei suoni.

I-Ching – La seconda peculiarità del progetto è quella della casualità. Inutile dire che John Cage attinse a quelle procedure di matrice orientale che già adottava dagli anni Cinquanta mediante l’I-Ching. Gli studi della filosofia Buddhista e Zen compiuti in quegli anni con Daisetsu Suzuki, lo avevano spinto a tentare una liberazione della musica dai condizionamenti della propria cultura di appartenenza e dei propri interessi, anch’essi culturalmente condizionati. La risposta a questo tentativo arrivò tramite l’I-Ching, un testo che consentiva la consultazione di oracoli da interpretare mediante sei lanci di tre monete, con cui poter selezionare uno dei 64 esagrammi da cui era costituito il libro dei mutamenti. Cage ne fece uso la prima volta per Music of Changes (1951/52). Nel caso di HPSCHD bisognava trasferire in ambito informatico quest’antica tradizione cinese.

Musikalisches Würfelspiel – Oltre alla procedura dell’I-Ching, i due compositori realizzarono quest’ambizioso progetto appoggiandosi ad un’altra procedura casuale altrettanto storicizzata e nota: quella del Musikalisches Würfelspiel di Mozart, in inglese Dice Game – gioco dei dadi: un metodo che consentiva di generare musica in maniera casuale utilizzando dei semplici dadi, adoperati per la selezione di elementi musicali precostituiti, ad esempio piccole sezioni musicali da combinare insieme per realizzare strutture più ampie.

L’organico – Quanto esposto fin’ora, costituisce le fondamenta culturali e concettuali su cui i due compositori realizzarono l’intera opera. In aggiunta, vi sono due aspetti che necessitano di essere chiariti prima di tutti gli altri: l’organico, a cui si sarebbe affidata la parte musicale, e, strettamente legato ad esso, il ruolo che avrebbe avuto il computer.

La commissione della Vischer, cui ho accennato in precedenza, richiedeva espressamente che l’opera fosse pensata per il clavicembalo, o comunque che lo strumento fosse in qualche modo presente. Accanto ad esso era prevista una sezione elettronica, di sintesi digitale da registrare su nastro magnetico. Complessivamente l’organico era costituito da sette esecutori di clavicembalo, ed un’orchestra di 51 nastri magnetici, ciascuno con un proprio alto parlante (non tutti i documenti concordano sul numero, Husarik ad esempio scrive di un’orchestra elettronica di 52 elementi). La parte musicale realizzata al computer, per ciascuno di questi esecutori, fu ottenuta mediante l’uso del computer Illiac II e di due software originali, progettati per l’occasione: DICEGAME e HPSCHD.

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Un’immagine della performance del 16 Maggio 1969. Si notano al centro degli esecutori e intorno i banner grafici e per le proiezioni di immagini.

DICEGAME – Questo software, tecnicamente una subroutine, era stata ideata appositamente per la composizione delle parti musicale eseguite dai sette clavicembali. Delle 176 battute che Mozart realizzò con il gioco dei dadi, questa versione informatica ne conservava soltanto 64, in quanto si presentava come una versione modificata attraverso la logica dell’I-Ching, ciascuna misura aveva una durata di 1 minuto. Il computer fu programmato in maniera da eseguire per 20 volte la procedura di selezione di queste 64 battute, in maniera da ottenere, per cinque dei sette clavicembali, delle parti solistiche lunghe 20 minuti. Ciascuna di queste parti presentava caratteristiche differenti:

– il solo 2 corrispondeva ad una semplice esecuzione di tutte le 64 misure, ripetute per 20 volte;

– molto simile il solo 3, con una variante: alcune battute erano rimpiazzate, mediante procedure casuali, da altre misure selezionate da opere di Mozart [Husarik]:

Sonata in Re Maggiore, K. 284 (2° Movimento, prime 24 battute)

Sonata in Do Maggiore, K. 330 (1° Movimento, prime 32 battute)

Sonata in Sol Maggiore, K. 283 (1° Movimento, prime 47 battute)

Fantasia in Do Minore, K. 475 (1° Movimento, prime 10 battute)

Sonata in Si Maggiore, K. 281 (2° Movimento, prime 32 battute)

Sonata in Re Maggiore, K. 284 (1° Movimento, prime 32 battute)

– il quarto solo segue la stessa logica del precedente ma con una complicazione: il processo di sostituzione avveniva indipendentemente per ciascuna mano, cioè poteva accadere che la mano sinistra continuasse ad eseguire la parte originale mentre la destra eseguiva una parte estrapolata da Mozart.

– la logica della sostituzione fu adoperata anche per il solo V e VI, ma con un’ulteriore variante: il materiale non originale non fu attinto solo da Mozart ma anche da numerosi altri autori, in maniera da coprire, almeno idealmente, l’intero corso della musica d’arte da Mozart al XX secolo. Le opere selezionate furono:

Ludwig van Beethoven, Sonata N. 23 in Fa Minore “Appassionata”;

Frédéric Chopin, Preludio in Re Minore, opus 28;

Robert Schumann, “Recoinassance” da Carnaval, op. 9;

Louis Moreau Gottschalk, The Banjo Op. 5;

Ferruccio Busoni, Sonatina N. 2 BV 259

John Cage, Winter Music

Lejaren Hiller, Sonata N. 5

– il settimo solo fu improntato su una logica molto diversa, e consisteva di una sola pagina con delle istruzioni riservate all’esecutore, il quale poteva scegliere autonomamente di eseguire qualsiasi composizione di Mozart o scegliere una delle esecuzioni degli altri 6 clavicembalisti coinvolti nella performance;

– il primo solo, infine, presenta delle caratteristiche molto differenti rispetto a tutti gli altri. In effetti si tratta di una trascrizione in dodici toni di una delle parti per nastro, che determinava una parte resa molto complessa per l’esecutore dalla presenza di numerosi e rapidi cambi dinamici.

Timeline of composers used in HPSCHD, their birth and death dates, and list of possible replacements for Ives. Manuscript from the John Cage Collection, New York Public Library, New York, New York.
Una timeline dei composiitori utilizzati in HPSCHD, con le relative date di nascita e morte. Sulla destra una serie di alternative per un’eventuale sostituzione di Ives. Manoscritto della John Cage Collection della New York Public Library di New York.

HPSCHD – Il secondo software porta lo stesso nome dell’opera, e fu progettato per le parti musicali dei nastri magnetici. Il materiale sonoro fu sintetizzato mediante l’utilizzo di onde con profilo a dente di sega, ricche di armonici ma sopratutto adatte per ottenere suoni più vicini, per caratteristiche, a quelli dei clavicembali. Le altezze da cui il software poteva attingere derivavano da una suddivisione dell’ottava in minimo 5 e massimo 56 parti, che calcolate per le 64 scelte dell’I-Ching restituivano un potenziale di 885.000 altezze.

La performance – La durata delle parti dei nastri magnetici era identica a quella dei clavicembali, 20 minuti, ma intorno a questa durata ruotano diverse motivazioni. In effetti è da sottolineare che i due autori, ancor prima che l’opera fosse terminata, avevano sottoscritto un’incisione con la Nonesuch Records, la quale aveva richiesto per entrambi i lati una durata non superiore ai 20 minuti. HPSCHD avrebbe potuto occupare un solo lato oppure entrambi, per una durata che poteva variare dai 20 ai 40 minuti complessivi. Ma era possibile che un’opera così complessa si facesse limitare da scelte tecniche commerciali? In effetti no, visto che Cage e Hiller adoperarono i 20 minuti come una vera e propria unità minima, realizzando in essa particolari relazioni microtonali ed intervallari, quindi non erano disposti a segmentarla oppure estenderla secondo valori che non fossero multipli o sottomultipli di 20.

Un'immagine dell'Assemlby Hall prima della performance. Si notano i banner grafici.
Un’immagine dell’Assembly Hall prima della performance. Si notano i banner grafici e per le proiezioni.

Se la versione in studio poteva essere circoscritta anche nel breve tempo di 20 minuti, non bisogna dimenticare che il progetto dal vivo poteva durare anche diverse ore. Infatti le diverse parti di 20 minuti potevano essere sovrapposte verticalmente, da cui la durata in studio di 20 minuti, o giustapposte orizzontalmente per un tempo indefinito.

Inoltre anche l’uso dell’organico poteva essere variato a seconda delle esigenze. Infatti se la versione completa prevedeva tutte le 7 parti di clavicembalo e 51 (o 52) nastri magnetici, tuttavia era possibile allestire anche versioni più leggere, come nel caso dell’edizione in studio della Nonesuch che fu registrata con solo tre parti di clavicembalo.

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La copertina dell’edizione in studio di HPSCHD, prodotto dalla Nonesuch Records.

Le proiezioni – HPSCHD era stato concepito come una grande spettacolo multimediale, costituito non solo da musica ma anche da un numero considerevole di proiezioni, fotografiche e video. L’idea era di una tale complessità che la descrizione di questa parte dell’opera è tutt’altro che semplice.

La prima persona ad essere coinvolta fu Calvin Sumsion, in quegli anni uno studente iscritto al Dipartimento di Design dell’Università dell’Illinois, ed interessato, come John Cage, all’applicazione di procedure casuali. Sumsion fece uso degli stessi dati ottenuti dai due compositori con il software DICE GAME. Questi dati furono utilizzati per stabilire la posizione o la dimensione di fotografie tratte da 2 enciclopedie e proiettate su teli di plastica trasparenti, appesi al centro della Assembly Hall.

Le parti grafiche non furono realizzate solo da Sumsion, il quale curò anche delle commissioni: la prima a Ronald Resch al quale fu chiesto di preparare una serie di armonografie, l’altra a Gary Viskupic a cui fu chiesto di realizzare una grafica che raffigurasse Cage e alle sue spalle un drago con tre teste raffiguranti Bach, Beethoven e Schumann.

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Uno dei poster realizzati per la prima performance di HPSCHD. La grafica realizzata da Viskupic raffigura John Cage avanti ad un drago con tre teste: quella di Bach, Beethoven e Schumann.

Altre 68 immagini furono ottenute da altre fonti quali Nasa, Mount Wilson Observatory, Pagmar e Adler Planetarium. Un numero considerevole di persone fu coinvolto per realizzare disegni a mano, perfino Merce Cunningam, mentre 26 furono realizzati da Ron Nametsh. Furono utilizzati 84 proiettori e 100 diapositive per ogni proiettore, per un totale di 8400 immagini.

Nametsh si occupò anche delle proiezioni video, selezionando 400 pellicole di soggetto scientifico, mentre altro materiale era basato su esempi di computer grafica, ad esempio di John Witney, i cui spezzoni erano combinati mediante procedure casuali basate sull’I-Ching. Le proiezioni video avvenivano su pannelli verticali di plastica. Lo scopo di queste proiezioni era di raccontare la storia dell’uomo dalla preistoria fino alla contemporaneità.

La prima – L’evento fu organizzato nell’Assembly Hall dell’Università dell’Illinois, una sala da circa 17.000 posti che bene si prestava ad una performance di tale complessità, a cui garantiva inoltre un’ottima acustica. Ricapitolando, per la realizzazione di tutto l’evento furono utilizzati numerosi elementi, la cui posizione fu attentamente definita da John Cage: 208 nastri magnetici, 84 proiettori per diapositive, 52 registratori a nastro, 52 altoparlanti, 12 proiettori video, amplificatori, pannelli di plastica, diapositive, film, poster e sette clavicembalisti, cioè David Tudor, Antoinette Vischer, William Brooks, Ronald Peters, Yuji Takajasji, Neely Bruce e Philip Corner.

Il lavoro di Cage ed Hiller si sarebbe dovuto completare per il mese di Marzo del 1968, ma alla fine ci fu uno slittamento di oltre un anno. Alle 7:30 del 16 maggio 1969, di fronte ad oltre 7000 spettatori, furono eseguiti i primi suoni elettronici. L’intera performance, di durata indefinibile, fu anche video registrata, e certe scelte tecniche, come l’inquadratura, la scelta dei filtri ed altro, furono sottoposte a procedure casuali, in accordo con la metodologia applicata per tutto il progetto. Purtroppo nulla di tutta questa documentazione è arrivata fino a noi, in quanto il materiale andò distrutto in un incendio che interessò gli studio dove il girato era stato depositato. Tuttavia va ricordato che altre esecuzioni furono organizzate negli anni successivi, e si organizzano ancora oggi, chiaramente in ogni circostanza si è cercato di adattare la performance alle diverse esigenze.

Di seguito, un estratto dell’opera:

Per scrivere questa voce ho letto:

Austin, Larry. An Interview With John Cage and Lejaren Hiller, Computer Music Journal, Vol. 16 [4], 1992, pp. 15 – 29.

Cagne, Cole; Caras, Tracy. Soundpieces: Interviews with American Composer, The Scarecrow Press, 1982.

Hiller, Lejaren. Sulla programmazione del Gioco Musicale dei Dadi di Mozart in I Profili del Suono, a cura di Serena Tamburini, Mauro Bagella, Salerno 1987, pp. 137 – 157.

Husarik, Stephen. John Cage and Lejaren Hiller: HPSCHD, 1969, American Music, Vol. 1 [2], 1983, pp. 1 – 21.

Silverman, Kenneth. Begin Again: A Biography of John Cage, Northwestern University Press, 2012.

Kostelanetz, Richard. On Innovative Musicians, Limelights ed., 1989, pp. 61 – 67.

Kostelanetz, Richard. Conversing with Cage, Routledge, 2nd Ed. 2005.


Commenti

Una risposta a “HPSCHD”

  1. […] questi interessi hanno contribuito alla nascita di numerose opere, tra le quali spicca senza dubbio HPSCHD, una grandiosa opera multimediale realizzata nel 1969 da Hiller in collaborazione con John Cage. Ho […]

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