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Revenant Ryuichi Sakamoto: Coda di Stephen Schible

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Il 23 marzo del 2023 si è spenta la vita, grandiosa, di Ryuichi Sakamoto, probabilmente tra i più grandi artisti che il Giappone abbia fin’ora mai conosciuto e sicuramente tra i più grandi compositori di sempre.

A distanza di qualche anno, possiamo dire con assoluta certezza che la sua esperienza artistica, nell’ultimo decennio, è stata segnata da due eventi in particolare che hanno indirizzato la crescita professionale di Ryuichi Sakamoto.

A qualcuno farà strano leggere di “crescita professionale” per un compositore giunto all’ultimo decennio della sua vita, con una carriera invidiabile alle spalle e il cui esordio musicale è datato 1978. Eppure, è proprio questo uno degli aspetti che emerge con intensità dal documentario girato e prodotto da Stephen Nomura Schible: Coda (2017).

L’esordio di Stephen Nomura Schible

Come Sakamoto, anche il regista Schible nasce a Tokio, benché a una certa distanza generazionale, visto che è classe 1970. Il suo profilo in rete non è particolarmente dettagliato ma poco importo e poco aggiunge al fatto che il suo esordio alla regia sia avvenuto con questo omaggio alla carriera di Ryuichi Sakamoto.

Mi piace pensare, e lo dico come fantasia personale, che Schible possa essere stato uno dei tanti giovani folgorati dalla leadership ecologica incarnata da Sakamoto all’indomani della tragedia di Fukushima nel 2011. Del resto non può essere casuale che il punto di origine del documentario è proprio quel momento in cui Ryuichi Sakamoto si accorge della necessità di contribuire con più energia alla nascita di un movimento ecologista giapponese.

Il malessere ambientale, quindi, e quello personale con la diagnosi di tumore, sono le due fasi da cui sembra rinascere il nuovo Sakamoto, le fondamenta su cui si costruirà l’ultima fase della sua carriera artistica.

La ricerca continua di Ryuichi Sakamoto

Il compositore giapponese, come accennavo poc’anzi, alle spalle ha una carriera lunghissima, che parte dal 1978 e arriva fino ai giorni nostri, o poco meno. Dopo gli esordi con il pop elettronico della Yellow Magic Orchestra, band che mise le radici per la proliferazione del successivo J-Pop (Japan Pop), vanno ricordate le collaborazioni di notevole rilievo, a partire da David Bowie, David Byrne, David Sylvian, Alva Noto, Iggy Pop, Caetano Veloso, Thomas Dolby, Youssou N’Dour, Hector Zazou e Cesária Évora. Ma la lista potrebbe continuare ancora per molto.

Poi sono da annoverare le tante colonne sonore, per titoli che hanno fatto la storia e insieme a grandi firme delle cinematografia mondiale (Bertolucci tre volte, Iñárritu e due volte con Brian De Palma, e tanti ancora). Una carriera cinematografica – anche come attore – che nel 1988 fu coronata dall’oscar alla migliore colonna sonora per L’Ultimo Imperatore di Bernardo Bertolucci.

E si potrebbe parlare anche del mare di collaborazioni per Anime, giochi per il computer e tutto quello che Sakamoto poteva in qualche modo mettere in relazione con la propria musica, costantemente alla ricerca di nuovi spazi espressivi, nuovi ambiti di contaminazione.

Una lunga storia, un piccolo scorcio

Eppure, sarà anche per via di questa variegata carriera, il documentario Coda si sofferma su pochissimi aspetti, e di questi pochi aspetti non ci offre che cenni, che sembrano frasi e immagini rubate ma che pure contribuiscono a darci un’idea forte di quella che è stata la vera natura di questo grande compositore Giapponese.

Un frammento di esibizione di fronte al piccolo pubblico degli attivisti di Fukushima. I suoi brevi ricordi di Bertolucci, quando lo sminuiva al cospetto di Ennio Morricone. Il cinema, sempre presente. La rinascita – è il caso di dirlo – con Revenant di Alejandro González Iñárritu, stimato e amato. Gli esordi pop, sempre presenti all’orizzonte, come sempre presente è la musica e la sua costante ricerca sonora, come un bambino, con la stessa identica e ingenua curiosità.

Leggendo le recensioni di Coda, prima di guardarlo, pensavo che il documentario di Schible fosse l’ennesima indagine sull’approccio alla scrittura musicale di un grande compositore. E non lo dico in senso negativo. Lo dico per enfatizzare il fatto che non mi aspettassi di intraprendere chissà quale viaggio nella storia di questo artista giapponese. Invece le mie aspettative sono state piacevolmente smentite.

Perché guardare Coda, documentario su Ryuichi Sakamoto?

Perchè è un documentario che porta alla luce i segreti più grandi dell’arte di Ryuichi Sakamoto: la sua semplice quotidianità, e poi perchè ci aiuta ricordare che un grande artista è tale perchè non cessa mai di dedicarsi alla ricerca della perfezione oppure, come nel caso di Sakamoto, di dedicarsi alla ricerca del suono perfetto.


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